Nell’epoca dei selfie, non poteva mancare la visita a distanza per il dermatologo. Se vogliamo che la tecnologia sia davvero utile, impariamo a usarla bene.

I dermatologi, è risaputo, sono i medici più interpellati “al volo” e nelle circostanze più disparate. Se non ci muoviamo nell’anonimato, rischiamo di lavorare, e gratis, nei posti più impensati: per strada, in ascensore, al ristorante, in vacanza (in fondo, si tratta solo di dare un’occhiata). Ora poi, con l’avvento degli smartphone, si può essere davvero raggiunti ovunque.

Ma è vero che basta dare un’occhiata per fare una diagnosi? Ovviamente no. Basti ricordare che le malattie dermatologiche attualmente riconosciute sono più di duemila e che, per diagnosticarle, un dermatologo ha a disposizione un numero limitatissimo di “lesioni elementari” (eritema, pomfi, papule, noduli, squame, ecc. ). Vale a dire che, a seconda del tipo e del modo in cui si compongono le poche lesioni elementari disponibili, viene posta la diagnosi. Inoltre, è molto importante conoscere la storia clinica del soggetto, l’eventuale presenza di lesioni a distanza (nelle sedi abitualmente coperte dagli indumenti), e avere a disposizione metodiche strumentali di valutazione quali, ad esempio, la dermatoscopia, la microscopia ad epiluminescenza, l’ecografia.

Ad aggravare la situazione, quando i pazienti inviano i loro scatti, altre variabili si aggiungono: il particolare che è stato fotografato è davvero la manifestazione più importante del problema? Come appare il resto della cute? In quali condizioni di luce è stato eseguito lo scatto? E così via. In un recentissimo studio pubblicato da chirurghi del Tennessee, USA, si è voluto proprio misurare in che modo la valutazione della fotografia di una ferita influisca sulla capacità del chirurgo di diagnosticare le complicanze, soprattutto le infezioni, a livello del sito chirurgico utilizzando uno strumento di monitoraggio online.

Questo studio di simulazione ha rilevato che la fotografia della ferita peggiorava l’accuratezza e la sensibilità nella diagnosi delle infezioni del sito chirurgico. I ricercatori hanno concluso che la fotografia della ferita facilita la valutazione della ferita postoperatoria a distanza (cosa utilissima per chi vive lontano dal luogo in cui è stato effettuato l’intervento) ma che altre informazioni e accorgimenti sono necessari per garantire che non vengano trascurate le criticità.

La valutazione a distanza di fotografie di lesioni inviate dal paziente potrebbe non rispecchiare con precisione lo stato clinico della malattia. Per quanto riguarda le malattie della pelle, la valutazione a distanza può essere utile, non certo per la diagnosi ma soltanto per evitare controlli troppo ravvicinati in situazioni in cui un monitoraggio della situazione sia necessario. Ad esempio, se il medico ha potuto diagnosticare la malattia da vicino, e con tutti gli ausili necessari, una volta impostata la terapia, potrebbe consigliarvi di documentarne fotograficamente il decorso.

Inviate messaggi e foto solo se richiesto, meglio se lo scatto viene eseguito in buone condizioni di luce naturale (evitare il flash e le luci artificiali). Inviare foto non richieste rischia di generare una serie di equivoci, di malintesi, e di creare nel paziente un falso senso di sicurezza mentre magari chi le riceve non è nelle condizioni di guardarle, valutarle, fornire una risposta. Le tecnologie avvicinano, anche il paziente al suo medico, ma questa vicinanza va sfruttata con saggezza. Soprattutto, non date l’impressione di volervene stare comodi, di essere insensibili al riposo e ai momenti di vacanza, di cercare di risparmiare il costo di una visita.

In un momento storico in cui la figura del medico rischia di essere svalutata, per una serie di motivi le cui colpe non sono certo ascrivibili principalmente ai pazienti, ricordate che un medico incalzato e bistrattato rischia di superare l’umano limite della sopportazione e di diventare un po’ meno vostro alleato.

Articolo della Dottoressa Adele Sparavigna per https://4me.styl