Per millenni ci siamo tatuati per motivi tribali, rituali, religiosi. Oggi lo facciamo per comunicare valori e stile di vita. Ma consentitemi una domanda da dermatologa: ne vale davvero la pena?
La moda del tatuaggio è molto diffusa, ormai riguarda indistintamente sia uomini che donne e superfici sempre più estese del corpo. Dalla teoria lombrosiana per la quale essere tatuati significava essere predisposti al crimine fino ad oggi, il modo di concepire il tatuaggio è molto cambiato ed alcuni tatuaggi sono vere e proprie opere d’arte. Tuttavia, oggi sappiamo anche molte cose che una volta non si sapevano.
Fare un tatuaggio consiste nel far penetrare sostanze coloranti nel derma, ovvero nello strato profondo della pelle. Queste sostanze colorate, una volta introdotte nella cute, sono insolubili per cui si comportano da “corpo estraneo” e vengono inglobate dai macrofagi, le nostre cellule “spazzino”, che però non riescono a degradarle e quindi rimangono in sede assumendo il colore della “spazzatura” che hanno inglobato. Questo è in termini medici il tatuaggio: un tentativo mal riuscito di espellere dal corpo una sostanza estranea potenzialmente dannosa.
Anche se oggi le tecniche del tatuaggio si sono molto evolute ed è possibile eseguire la procedura in modo da evitare complicanze infettive quali, ad esempio, epatite B e C, tetano, AIDS e infezioni cutanee batteriche, il nodo della questione è che la sostanza utilizzata rimarrà nel nostro corpo esercitando i propri effetti potenzialmente nocivi e probabilmente non rimarrà confinata nella sede del tatuaggio, come dimostrano alcuni lavori recentemente pubblicati nella letteratura scientifica, in cui sono stati persino descritti linfonodi colorati dagli inchiostri dei tatuaggi.
Senza parlare delle problematiche di quando si cambia idea e si vuole rimuovere un tatuaggio. Si, perché se il tatuaggio è nero, monocolore, si può pensare di eliminarlo, mediante ripetute e costose sedute con il laser. Se il tatuaggio è policromatico, la faccenda si complica: saranno necessari diversi tipi di laser, ciascuno specifico per il colore che vogliamo eliminare, con aumento del numero di sedute, dei costi, del trauma per la pelle e dell’incertezza del risultato.
In Italia si stima che almeno sette milioni di persone siano portatrici di tatuaggi e che almeno il 4% di essi ha sofferto o soffre ancora di reazioni indesiderate quali dolore, granulomi, ispessimento della pelle, reazioni allergiche, infezioni, pseudo-linfomi. Questo accade perché i pigmenti, e altre sostanze presenti nel prodotto utilizzato, possono distribuirsi nella linfa e anche nel sangue, mentre una frazione minima può nel tempo subire una degradazione metabolica, come nel caso delle reazioni allergiche ai tatuaggi rossi (sali metallici).
Il nero carbone (composto da idrocarburi policiclici aromatici, di per sé cancerogeni) ha la tendenza ad agglomerarsi e forma corpi più grandi che possono suscitare reazioni di corpi estranei nella formazione del nero e persino granulomi o altre reazioni nodulari. Da un punto di vista legislativo, essendo praticamente infinita la quantità di sostanze coloranti potenzialmente utilizzabili, finora è stato soltanto possibile redigere una lista negativa di sostanze vietate negli inchiostri e un elenco di restrizioni per altri possibili componenti delle miscele.
Le sostanze immesse in questa lista sono quelle per cui è stato possibile dimostrare un nesso di causa-effetto rispetto alle reazioni indesiderate e tossiche fin qui analizzate. Ovviamente, se una sostanza non è presente nella lista negativa questo non significa che si tratti per forza di una sostanza innocua. Ad oggi le complicanze del tatuaggio sono complesse e sfaccettate con molte entità e meccanismi di malattia. Poiché l’industria del tatuaggio è già molto potente a livello internazionale, poco si parla di questi aspetti i quali, però, quando capitano, rappresentano un enigma ancora troppo spesso irrisolto da un punto di vista medico.
Articolo della Dottoressa Adele Sparavigna per https://4me.styl