Da http://4me.style/ del 21 luglio 2017
Proteggersi dai raggi UV senza bloccare la sintesi della Vitamina D. Questa la grande sfida a cui è chiamata la ricerca.
È fuori di dubbio: l’esposizione ai raggi ultravioletti del sole costituisce uno dei maggiori rischi per lo sviluppo dei tumori della pelle. L’aumento di casi di melanoma dimostra che ancora non ci si protegge a sufficienza. In Australia, dove l’incidenza di cancro cutaneo è tra le più alte al mondo, la parola d’ordine per essere sempre protetti è “slip, slop, slap, wrap”. Che significa: indossate un indumento protettivo (slip into protective clothing), spalmate la crema solare (slop on sunscreens), copritevi con un cappello (slap on a protective hat), infilate gli occhiali da sole (wrap on a pair of sunglasses).
Fatta questa premessa, vorrei ricordare che il sole produce anche molti effetti salutari indispensabili per il nostro organismo. Innanzitutto, lo dico da dermatologa, l’esposizione ai raggi del sole fa bene alla pelle. Tutti sappiamo che la produzione di endorfine e una bella tintarella migliorano il nostro umore. L’azione immunosoppressiva e antinfiammatoria delle radiazioni solari produce inoltre un visibile miglioramento di alcune dermatosi, tra cui la psoriasi, la dermatite seborroica, la dermatite atopica e l’acne.
Ma dove il sole è veramente insostituibile è nella produzione di Vitamina D. Questo ormone steroideo (si tratta di una vitamina “sui generis”) che ha la funzione di regolare il metabolismo del calcio e del fosforo, è prodotto dalle radiazioni solari a contatto con la cute. La sua carenza è causa di fragilità nelle ossa (rachitismo nei bambini e osteoporosi negli anziani) ma può anche produrre alcuni tipi di cancro, il diabete di tipo 1, malattie autoimmuni, ipertensione e problemi cardiovascolari. Un’emergenza sempre più diffusa nel mondo occidentale dove, guarda caso, c’è la massima sensibilizzazione ai rischi dei raggi UV.
Poiché la quota che si può assumere attraverso gli alimenti è scarsamente biodisponibile, il 90% della vitamina D di cui abbiamo bisogno deve essere prodotta attraverso l’azione del sole. Ma è qui l’inghippo: le lunghezze d’onda responsabili della sintesi cutanea della vitamina D sono tutte nel range UVB, sono cioè le stesse che possono causare gli eritemi, l’ustione solare e la fotocarcinogenesi. Come fare allora per “prendere il meglio del sole” evitando di esporsi al rischio di un tumore alla pelle?
Michael Holick, il dermatologo americano che ha avviato il dibattito sui rischi da ipovitaminosi D, invita chi ha carenze di Vitamina D ad esporsi al sole per il 20% del tempo necessario a scottarsi (comunque non più di 10 minuti) prima di applicare la protezione solare. È chiaro però che la soluzione del dilemma si gioca soprattutto sul versante della ricerca e sviluppo di nuovi prodotti.
Sono già allo studio sistemi per misurare l’intensità delle radiazioni solari che tengano conto della latitudine, dell’ora del giorno, delle condizioni metereologiche e della riflettenza del suolo, per poter calibrare con maggior precisione il grado di protezione necessaria senza impedire alla nostra pelle di sintetizzare la Vitamina D. Conto di riparlarne molto presto.